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Missione in Kurdistan- Nord Iraq sett-ott 2016 della delegazione di  Associazione “verso il Kurdistan” e CGIL Modena che sostengono  quattro “adozioni a distanza” di figli di vittime/prigionieri di famiglie kurde

Arbat (Nord Iraq) – 9 ottobre 2016

UN CAMPO PROFUGHI KURDI

SCACCIATI DALLA SIRIA

Attraversando la regione kurda nel nord Iraq, verso il confine est con Iran, si arriva all’antica capitale Suleymania e poi oltre, ad Arbat, dove sono stati insediati campi per profughi fuggiti dalla Siria in guerra civile e poi, con l’esplosione della occupazione Isis, se ne sono aggiunti altre centinaia di migliaia dal sud Iraq e dai territori siriani abitati dai kurdi.
In questa regione nord irakena, unica regione relativamente pacificata, si sono rifugiati circa 2 milioni di profughi insieme ad una popolazione originale di 5 milioni.
Anche per le associazioni umanitarie e di cooperazione internazionale è sempre più difficile entrare e visitare questi campi/villaggi di accoglienza e concentramento della disperazione.
Ad” Arbat Refugee Camp” entriamo, accolti dalla preziosa Associazione Emergency, che qui gestisce un ben attrezzato poliambulatorio.
Ci ricevono e conducono tra le strutture, due gentilissimi operatori sanitari italiani, Riccardo e Valentina, che ci raccontano.
In questo campo, gestito dalla Agenzia ONU – UNHCR, sorto circa tre anni fa, vivono circa 8.000 rifugiati e fra questi, 1.500.bambini.
Nato come tendopoli e poi col passare del tempo, la drammatica certezza che i mesi di fuga sarebbero diventati anni, hanno spinto quelle famiglie a lavorare per togliere le tende e sostituirle con casupole in mattoni e calce. Ma su questo punto torneremo.
Oggi, in totale sono 1.792 famiglie, praticamente tutte fuggite dal Kurdistan siriano/Rojava.
Questa struttura sanitaria di Emergency è aperta tutti i giorni, con tre medici ed alcuni infermieri, ricevono mediamente 155 accessi ogni giorno ed i casi più gravi li dirottano all’ospedale della città di Suleymania.
Funzionano tre ambulatori, un laboratorio analisi, una piccola farmacia, una struttura Ecg ed una stanza di osservazione per i malati.
I disturbi più frequenti e preoccupanti sono infezioni, faringiti, febbre alte per i bambini; diabetici per gli anziani.
E poi coliche renali a causa dell’acqua portata con gli autobotti, gastroenteriti e diffusione di batteri. Sorridendo, Riccardo il sanitario, guarda il termometro sul muro che segna i 38 gradi sul campo di oggi, aggiungendo però che il soffocamento dei 48/50 gradi estivi “…aiutano molto ad uccidere i batteri del colera”!
È per noi impossibile una percezione reale sul vivere in un campo come questo, chiuso ed isolato e sotto un sole da 50 gradi. Con lo scorrere delle acque degli scarichi a cielo aperto e che inevitabilmente attrae il giocare dei bambini.
Delle alcune migliaia di adulti, solo in pochi, ci dicono, riescono ad afferrare un qualche ” lavoro giornaliero” nelle campagne o nei cantieri qui intorno e verso la città.
C’è una grande amarezza diffusa ed attese per un futuro che possa restituire un poco di vita. Un futuro così però da qui è invisibile.
L’agenzia ONU distribuisce, ma solo alle famiglie più disperate, voucher (li chiamano proprio così) per il loro mantenimento.
E alla nostra domanda sulla dinamica degli ingressi, si risponde chiaro dicendomi che gli arrivi sono in calo ma continuano, così come ci sono le”uscite”. Si, verso l’Europa, in cerca di un parente, amico, conoscente o semplicemente per scappare da un posto chiuso così.
Entriamo anche nella struttura scolastica con qualche struttura per giochi, gestita dalla Ong italiana ” Un ponte per”, con elementari e media, con soli 25 addetti fra insegnanti e personale di servizio. Ci parlano dei loro problemi pesanti. Oltre al poco personale, la mancanza di libri, penne, carta, attrezzature.
E poi…problemi più seri e di fondo. Nonostante la carenza di insegnanti, l’ UNHCR rifiuta di far lavorare i maestri che casualmente sono fra i profughi. ..perché kurdi!
Il programma scolastico prevede lo studio del l’arabo come lingua base, anche se per questi 8.000 del campo è alfabeto straniero, e solo 1 ora settimanale di studio della lingua kurda ed 1 ora di inglese.
Entriamo, accolti con gentilezza ed attesa, in alcune casette. Casupole con un’unica stanza, ordinate, tappeto e brande per il riposo, una stanzetta a parte per cucinare, con piccolo frigo.
E chiedendo, casualmente, della costruzione della loro casupole in muratura, ci raccontano che i lavori fatti per sostituire le tende – con una spesa media che va dai 5.000 ai 10.000 dollari – per famiglia potrebbe nascondere un traffico poco chiaro e truffaldino.
Con la documentazione recuperata, con timbri e firme di funzionari internazionali e con nomi italiani, informereno opportunamente parlamentari nazionali ed europei oltre che, in primis, UNHCR.

Franco Zavatti “verso il Kurdistan onlus”

http://www.cgilmodena.it/gallery/index.php/missione-delegazione-in-Kurdistan-Nord-Iraq-settembre-ottobre-2016