Nell’ambito del progetto Re.Mi. è stata realizzata la ricerca dal titolo Dynamique de la migration au Niger. Acteurs, législation de référence, droits et leur protection effective” (trad. Dinamiche migratorie in Niger. Attori, legislazione di riferimento, diritti e loro effettiva protezione“). Questa analisi mira a comprendere la legislazione nazionale e internazionale in materia di migrazione, la realtà del viaggio, le condizioni di vita e di lavoro, nonché quelle dei familiari dei migranti, al fine di rafforzare la loro protezione durante l’intero ciclo migratorio. È uno studio che mette in luce le nuove forme e rotte della migrazione attraverso il Niger, evidenziando, in particolare, le principali forme di sfruttamento e di violazione dei diritti umani lungo la rotta migratoria e in particolare nella città di Niamey.
Un’analisi necessaria a realizzare le attività del progetto Re.Mi. e che vuole essere anche un punto di riferimento per condurre azioni che abbiano un impatto decisivo sul fenomeno migratorio e la tutela delle persone che si mettono in viaggio.
Perché accendere i riflettori sulla migrazione in Niger
Come evidenziato negli articoli precedenti, non è certo un caso che si studi, analizzi e si attivino progetti in collaborazione con le realtà nigerine sul fenomeno migratorio. Il Niger, oltre a essere un paese di partenza, è un paese di transito più o meno prolungato di migranti subsahariani diretti in Nord Africa e/o Europa: si stima che il 75% dei migranti arrivati in Italia dal Mediterraneo negli ultimi anni sia transitato per il Niger; per questo viene individuato dai governi europei come paese su cui intervenire con le politiche di controllo e di ostacolo alla migrazione. Proprio a causa degli interventi per reprimere la migrazione verso l’Europa, all’interno dei confine nigerini, trovano rifugio i migranti respinti durante il loro percorso, soprattutto quelli provenienti dai paesi limitrofi (Mali, Nigeria, Burkina Faso, Algeria, Libia).
Vediamo più nello specifico ciò che è emerso dallo studio realizzato da Nexus ER e dai partner del progetto RE.MI.
Le contraddizioni della legislazione e le politiche repressive
Quando si parla di leggi sulla migrazione bisogna muoversi tra la legislazione nazionale di un dato paese, quella internazionale e la cosiddetta “esternalizzazione delle frontiere”, in questo caso, da parte dell’Unione Europea, ossia tutte quelle norme finalizzate a limitare e contrastare l’arrivo di persone da altri o determinati paesi.
Il quadro normativo complessivo presenta contraddizioni macroscopiche ed è difficile quanto necessario avviare processi collettivi per sanarle, visto l’impatto drammatico che hanno sulle persone. Da una parte c’è il corpus normativo che garantisce la libera circolazione delle persone, in particolare, il trattato istitutivo dell’ECOWAS, i suoi protocolli aggiuntivi e il trattato dell’UEMOA. La tutela dei diritti dei migranti è decretata dalla Costituzione del Niger: “i cittadini di altri Paesi godono sul territorio della Repubblica del Niger degli stessi diritti e delle stesse libertà dei cittadini nigerini, alle condizioni stabilite dalla legge”.
Purtroppo, a questa generosa affermazione normativa si contrappone una controcorrente giuridica internazionale che limita la libera e, quindi, sicura circolazione delle persone. I due principali corpus normativi sono l’Accordo di Cotonou, il Protocollo contro il traffico di migranti e, soprattutto, la legge n. 2015-36 del 26 maggio 2015 sul traffico di migranti, che come l’accordo di Cotonou, è stata scritta e emanata in collaborazione con l’Unione Europea (abrogata il 27 novembre dalle autorità nigerine golpiste!)
La limitazione del transito delle persone sancito da queste norme si traduce in mancato rilascio di documenti necessari alla partenza, posti di blocco, respingimenti e deportazioni. Emblematica è la situazione nella regione desertica di Agadez nel nord del Niger dove i controlli si sono moltiplicati e, di conseguenza, ha perso il suo statuto di luogo di transito per diventare luogo di permanenza dei migranti subsahariani in viaggio verso la costa mediterranea della Libia o dell’Algeria per raggiungere l’Europa. A questo si aggiungono i respingimenti e le deportazioni dei migranti sul confine nigerino da parte delle forze dell’ordine Algerine, in particolare nella regione di Agadez ad Assamaka.
Il relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato: «queste espulsioni collettive dall’Algeria verso il Niger costituiscono una flagrante violazione del diritto internazionale, compreso il principio fondamentale del non respingimento e del giusto processo, e devono cessare immediatamente». Per il periodo da gennaio a maggio 2022, il sito web infomigrants.net riporta che 14.196 migranti sono stati espulsi dall’Algeria verso Assamaka. OCHA ha riferito che “circa 8.000 migranti dall’Algeria sono stati registrati ad Assamaka tra gennaio e maggio 2023”. Dei circa 5.000 migranti respinti in Niger dall’Algeria tra marzo e aprile 2023.
Nuovi percorsi migratori: rischi per l’incolumità delle persone
In risposta a questa repressione, sono stati creati nuovi percorsi, estremamente rischiosi per l’incolumità di chi affronta il percorso migratorio.
Nello studio si illustrano molte nuove strade, nate per evitare le forze di difesa e di sicurezza mobilitate per bloccare il viaggio delle persone verso l’Europa. Si tratta di percorsi talvolta poco utilizzati, talvolta poco conosciuti dagli stessi conducenti, sui quali i passeggeri possono perdersi e, in caso di guasto, hanno poche possibilità di essere soccorsi. Il numero dei morti è tutt’altro che esiguo.
Vulnerabilità delle persone migranti in Niger: violenze e diritti del lavoro
Il relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani, molto critico nei confronti della legge 2015-036, durante la sua visita in Niger ha osservato che nel caso delle donne migranti questa legge le ha rese più esposte agli abusi e allo sfruttamento sessuale.
«In effetti, ho appreso con preoccupazione che ci sono donne migranti che sono intrappolate ad Agadez senza potersi spostare più a nord sulla loro rotta migratoria. A causa della mancanza di accesso alle risorse e ai servizi più elementari, queste donne sono costrette a prostituirsi per sopravvivere».
Secondo un’indagine dell’USTN del 2022, la maggior parte delle persone migranti dichiara di essere vittima di violazioni dei propri diritti lavorativi. Durante i focus group organizzati nell’ambito di questo studio, i partecipanti hanno anche descritto condizioni di lavoro più simili allo sfruttamento o addirittura alla tratta di esseri umani. Una prima forma di sfruttamento è l’intermediazione che carica di debiti il lavoratore a cui si aggiungono sovraccarichi di lavoro e la persistenza dell’informalità.
Diritti dei migranti: tra mancanza di una conoscenza condivisa e l’azione delle organizzazioni locali
Le organizzazioni della società civile che hanno preso parte allo studio dichiarano che i migranti non hanno una reale conoscenza dei modi e dei mezzi per difendere i propri diritti e interessi. La mancanza di conoscenza è in gran parte dovuta al basso livello di istruzione. Le OSC cercano di agire, anche se in modo frammentario, per difendere e assistere i migranti. La maggior parte delle loro azioni consiste in campagne di informazione/sensibilizzazione e corsi di formazione professionale, che non sono ancora sufficientemente efficaci come reali percorsi di autonomia e indipendenza sociale ed economica per le persone che partecipano a queste iniziative. L’analisi ha mostrato che c’è ancora molto da fare nel campo della protezione legale e giudiziaria, sia in termini di conoscenza, partecipazione e competenze delle stesse organizzazioni locali.
Linee guida per intervenire: da dove parte il progetto Re.Mi
Lo studio si conclude con il capitolo “Conclusioni e raccomandazioni” dove è contenuta l’essenza del progetto Re.Mi. e alcuni punti programmatici per chi voglia lavorare per migliorare le condizione delle persone migranti.
Al livello istituzionale lo studio raccomanda un continuo e preciso monitoraggio del fenomeno migratorio per descriverlo efficacemente e poter predisporre azioni efficaci, come l’attivazione di un processo di cambiamento della legislazione. Per un processo di cambiamento e di miglioramento delle condizioni delle persone migranti è necessario incentivare la collaborazione delle organizzazioni della società civile locali, delle varie agenzie delle Nazioni Unite (OIM e UNHCR in primis) e delle strutture statali. Solo favorendo un dialogo costante e la collaborazione tra gli attori locali e quelli internazionali si possono attuare programmi che rispondano alle reali esigenze del Paese e si può creare un contesto favorevole a una migrazione sicura.
Al livello locale è necessario rafforzare i forum per il dialogo, il coordinamento e la collaborazione tra i vari attori della società civile: creare una rete di organizzazioni capace di capitalizzare sforzi e competenze e massimizzare l’impatto delle azioni, negoziare progetti e politiche che rispondano ai bisogni reali espressi dalle varie comunità di migranti. Il coinvolgimento delle comunità migranti, infine, è un aspetto fondamentale individuato nello studio: favorendo e faciliatando l’organizzazione in un movimento strutturato, le persone migranti possono far sentire la loro voce e possono diventare i principali attori del cambiamento, proteggendo i diritti dei loro connazionali e promuovendo una migrazione sicura.