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Egregio Ministro

CGIL, CISL e UIL, in forte sintonia con la Confederazione Europea dei Sindacati, vogliono
confermarLe le loro posizioni in materia di accordi commerciali e sugli investimenti.
Tali posizioni sono riferite non solo ai negoziati in corso sull’accordo di libero scambio con
gli USA (TTIP) e al negoziato multilaterale sui servizi (TISA), ma si applicano anche all’accordo di
libero scambio tra la UE e il Canada (CETA).

Il CETA infatti costituisce un accordo importante non solo in sé, ma anche come antecedente
e possibile modello per il TTIP.
Tutti i negoziati commerciali dovrebbero rispettare chiari requisiti, tra cui la necessità di
trasparenza e di un’efficace prevenzione verso qualsiasi tipo di pressione al ribasso sulle norme
ambientali, sociali e a tutela dei lavoratori, dei cittadini e dei consumatori. Essi dovrebbero altresì
garantire la continuità delle norme per la protezione dei servizi pubblici, evitando le spinte a una
maggiore privatizzazione, così come il legittimo “spazio politico” per i governi nelle decisioni
normative sulle politiche economiche, industriali e sociali.
Inoltre è essenziale non concedere agli investitori stranieri diritti speciali per intentare cause
contro gli Stati nazionali affidate a qualsiasi meccanismo “privato” di arbitrato.
Il Consiglio Europeo degli Affari Esteri del 13 maggio ha all’ordine del giorno sia il percorso
di ratifica del CETA sia l’andamento dei negoziati TTIP.
Per quanto riguarda il TTIP i testi resi pubblici da Greenpeace confermano quanto siano
fondate le preoccupazioni di quanti, come i sindacati europei, hanno espresso la loro contrarietà a
un accordo che non risponda all’interesse comune e ai diritti dei cittadini e quanto sia grande la
distanza dallo stesso mandato negoziale dell’UE e dalle raccomandazioni espresse dal Parlamento
Europeo. Piuttosto che alla ricerca di un accordo a tutti i costi e pericolosamente di basso profilo
CGIL, CISL e UIL chiedono al Governo di favorire un dibattito più aperto a partecipato nel Paese
su questo accordo, a partire dal Parlamento, al fine di una revisione profonda e radicale dei
contenuti di un possibile accordo transatlantico.
Anche l’accordo CETA, nel testo attuale, del quale si prospetta una ratifica senza possibilità
di ulteriori modifiche, non risponde ai requisiti indicati dal sindacato europeo e canadese, affinché
un negoziato tra due regioni economicamente avanzate e caratterizzate da elevati standard
ambientali, sociali e del lavoro conducesse a un accordo che dimostrasse la possibilità di
approfondire i legami commerciali mantenendo e rafforzando questi stessi standard sociali e
ambientali.
CGIL, CISL e UIL chiedono che il Consiglio Europeo e il Parlamento Europeo non
procedano alla ratifica dell’accordo CETA, nel caso in cui non siano apportate modifiche sostanziali
sui punti non condivisibili e che il Parlamento italiano e il Governo assumano posizioni conformi a
questo obiettivo.
In particolare vogliamo sottolineare che il CETA:
1. Non include norme vincolanti e procedure esigibili volte a tutelare e migliorare i diritti dei
lavoratori, compromettendone anche alcuni aspetti positivi. Le parti contraenti infatti si sono
esplicitamente impegnate ad attuare le norme fondamentali del lavoro dell’ILO e ad
intensificare gli sforzi volti a ratificarle. Questa clausola, tuttavia, non costituisce un obbligo
a ratificare entro scadenze certe queste norme fondamentali del lavoro, in particolare a
fronte della mancata ratifica da parte del Canada delle convenzioni n° 98 sul Diritto di
Organizzazione e Contrattazione Collettiva e n° 138 sull’Età Minima per il lavoro. Il rispetto
delle norme sociali e ambientali, nonché l’impatto sociale e ambientale di un dato accordo,
dovrebbero essere monitorati con la partecipazione obbligatoria delle parti sociali e della
società civile. Dovrebbe inoltre essere previsto un meccanismo vincolante per la soluzione
delle controversie nel caso che le norme sociali e ambientali vengano violate, che preveda
anche sanzioni finanziarie o commerciali in caso di violazione accertata.
2. Contiene un capitolo non condivisibile sulla protezione degli investimenti, garantendo agli
investitori stranieri, anche a quelli solamente finanziari, il diritto esclusivo di chiamare in
giudizio gli Stati. Anche dopo la modifica del testo iniziale con l’introduzione del
meccanismo dell’ICS, proposto dall’UE, nella sostanza si conferma la creazione di una
giustizia privata parallela a protezione degli investimenti tra due realtà, nelle quali lo Stato
di diritto è pienamente vigente a garanzia dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge. In
ogni caso, per essere accettabile, l’accordo, oltre all’esclusione di tale meccanismo, dovrebbe
includere una clausola che escluda effettivamente misure di welfare pubblico, come la
protezione dei diritti fondamentali del lavoro e la legislazione in materia sociale, e la
contrattazione collettiva dall’ambito di applicazione del capitolo sulla protezione degli
investimenti.
3. Sulla liberalizzazione dei servizi, l’accordo CETA introduce per la prima volta un approccio
basato su una lista negativa e non protegge adeguatamente i servizi pubblici. Chiediamo che
invece sia definita una lista positiva che indichi quelle aree dei servizi la cui liberalizzazione
non sia in conflitto con diritti e servizi essenziali per i cittadini e che sia chiarito che i servizi
pubblici e alcuni servizi di interesse generale non possono diventare parte di un accordo
commerciale. Non deve essere introdotta nessuna clausola che impedisca di invertire il
processo di liberalizzazione (clausola ratchet). Peraltro questa clausola e la lista negativa
diminuirebbe lo spazio di manovra di cui potranno godere le generazioni future sia in
relazione a nuovi beni e servizi, che ancora non esistono, sia se si manifestasse la necessità
di restituire all’amministrazione pubblica servizi in precedenza liberalizzati. L’accordo
CETA (e in principio tutti gli accordi commerciali) dovrebbe essere riformulato in modo che
i servizi pubblici e le aree di generale interesse pubblico ricevano una protezione completa
ed effettiva, mantenendo, nel contempo, una flessibilità sufficiente per consentire le
eventuali estensioni di queste aree, che si rendessero necessarie in futuro.
4. Chiediamo che gli impegni relativi al rispetto dei contratti collettivi del lavoro e i criteri
sociali e ambientali siano effettivamente supportati nelle normative sugli appalti pubblici
previste negli accordi commerciali. Le disposizioni di un accordo commerciale non
dovrebbero mai compromettere la formulazione dei criteri in vigore relativi a queste
materie. L’accordo CETA non include alcuna norma relativa alla promozione effettiva dei
criteri sociali e ambientali degli appalti, ma solo ulteriori norme sull’apertura del mercato
degli appalti pubblici. Le deroghe generali contenute nell’articolo III del capitolo sugli
appalti pubblici infatti comprendono misure per proteggere la moralità pubblica, l’ordine e la
sicurezza, la salute, nonché misure relative a quei beni e servizi prodotti dai disabili o dai
detenuti, ma non esistono misure per proteggere le norme sociali e del lavoro e la
contrattazione collettiva.
5. L’accordo CETA include un capitolo sulla cooperazione in campo normativo che prevede un
“Forum sulla cooperazione in campo normativo” per discutere gli aspetti normativi e
valutare in anticipo la compatibilità delle norme o delle procedure legislative proposte con
quanto previsto dall’accordo commerciale, favorendo, così, a interessi privati e a gruppi
lobbisti un accesso privilegiato nella fase iniziale del processo legislativo e normativo. In via
di principio dissentiamo dall’istituzione di organismi che interferiscono con i percorsi
decisionali democratici, sia come sono definiti nel CETA, sia come vengono prefigurati nel
TTIP. La cooperazione in campo normativo non deve essere utilizzata per ostacolare o
condizionare il potere dei parlamenti e dei governi di approvare leggi e norme per
salvaguardare i cittadini e proteggere i loro interessi, mettendo in gioco la stessa sovranità
democratica. La cooperazione normativa peraltro è materia sempre assai delicata e per la sua
funzione strategica a nostro avviso non dovrebbe essere inserita nell’ambito di un accordo
commerciale, che per sua natura e finalità può determinare pericolosi corto circuiti tra
facilitazione degli scambi, responsabilità normativa degli Stati e garanzia dei diritti e delle
tutele dei cittadini.
6. L’accordo contiene norme in materia di migrazione a scopo di lavoro a tempo determinato
che non possono essere delegate in alcun modo al negoziato commerciale.
7. Gli accordi commerciali, infine, dovrebbero sempre includere clausole di monitoraggio
dell’applicazione degli accordi e di revisione degli stessi, che, con la partecipazione delle
parti sociali e delle rappresentanze della società civile interessate, permettano di rettificare
gli sviluppi indesiderati e di determinare una verifica costante dei vantaggi/svantaggi che
essi apportano ai cittadini e ai lavoratori delle parti contraenti. Il testo dell’accordo CETA
non contiene una simile clausola di revisione.
Un numero crescente di Stati Membri, di autorità regionali e locali, di sindacati e gruppi
della società civile stanno esprimendo le loro preoccupazioni sull’impatto del CETA e di un
eventuale accordo sul TTIP sullo stato sociale, sulle norme e sui diritti, che costituiscono altresì il
cuore dell’economia sociale di mercato a fondamento dell’Unione Europea. Tali preoccupazioni
devono essere tenute in considerazione per la piena legittimità democratica di questi accordi e
perché essi siano effettivamente al servizio dell’interesse comune dei cittadini e dei lavoratori e non
il frutto di negoziati finalizzati all’interesse privato.
In tal senso chiediamo che un approfondito e partecipato esame preventivo delle
conseguenze del CETA (o di altri accordi) in ogni singolo Stato Membro preceda sempre la ratifica
degli accordi.
Al di là del giudizio critico del sindacato europeo sul nuovo meccanismo ICS a protezione
degli investimenti, da noi condiviso, la sua adozione successiva alla conclusione del negoziato tra le
parti dimostra che ulteriori modifiche di sostanza sono possibili e ci auguriamo che questa sia la
strada che il Consiglio d’Europa intenderà percorrere rifiutando l’adozione del testo sottoposto alla
sua valutazione.
Infine, come previsto dall’art. 207 (4.b), nella misura in cui tali accordi rischiano di minare
le responsabilità degli Stati Membri per l’organizzazione dei servizi sociali, educativi e sanitari,
chiediamo al Governo Italiano di richiedere che il Consiglio decida all’unanimità sulla loro
adozione.
Certi che il Governo Italiano terrà in dovuto conto le nostre preoccupazioni e le nostre
richieste Le porgiamo i nostri più cordiali saluti.