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Dalla fine della settimana scorsa la Tunisia vive la sua Intifada. Definisco così le proteste dei giovani che scuotono il paese perchè vi sono alcuni elementi in comune. Innanzitutto le pietre contro i blindati e i fucili che sparano lacrimogeni. Poi per i volti coperti dalle kefie. Poi perchè la protesta dei disoccupati tunisini è una lotta di Davide contro Golia come quella dei Palestinesi contro l’Occupazione israeliana.Nell’equazione tunisina i due «eroi» della storia sono la gioventù disoccupata che si batte per fare ascoltare la propria voce e le proprie richieste ed il nizam e cioè il«sistema». Ed è davvero una lotta impari. E’ una lotta non solo trovare lavoro, ma recarsi in un ufficio pubblico ed ottenere risposte da parte di funzionari che fanno della corruzione (anche minima, anche ridicola) un codice di condotta. O che fanno dell’ostracismo o che sono imprigionati da un sistema burocratico che davvero oramai non trova nessuna giustificazione se non nella propria sopravvivenza. E’ una lotta uscire dallo schema mentale del “posto fisso garantito dallo Stato” che è la migliore arma di ricatto del Sistema Stato tunisino che non solo non investe sui beni pubblici creando lavori di qualità e qualità della vita, e neppure rafforza la propria economia preferendo  ricorrere agli aiuti esterni che generano debito e minano l’autonomia produttiva del paese.
Mentre le proteste che hanno condotto alla caduta di Ben Alì erano proteste di massa partecipate anche dalle organizzazioni della società civile e dal sindacato, le proteste attuali sono legate al malessere dei giovani e sono da loro organizzate e partecipate. Da nessun altro. Sono esplose inaspettate dalle istituzioni e dalla società civile organizzata. Anche il sindacato è stato presto alla sprovvista.
La miccia dell’esplosione sono stati alcuni fatti: il suicidio di un giovane eliminato dalle graduatorie per l’impiego pubblico, la protesta di un altro giovane anch’esso vistosi cancellare dalle graduatorie del ministero dell’istruzione, tramutasi in auto-elettrocuzione a Kasserine ed il suicidio di un ambulante a Sfax. Ma questi fatti sono solo esempi estremi del malessere che conduce moltissimi giovani anche ad arruolarsi nelle file dell’ISIS (la Tunisia conta migliaia di foreign fighters) il quale offre lavoro e ottimi stipendi ed assicurazioni sulla vita per le famiglie.
La giovane democrazia tunisina non si è occupata dei suoi mali. Si è invece occupata di depenalizzare i grandi corruttori legati al regime di Ben Ali in cambio di una banale restituzione del maltolto accresciuto da un 5% di interessi. Da notare che le banche quando concedono prestiti per le imprese chiedono il 20%. La giovane democrazia tunisina che per l’alto tasso di disoccupazione mette in campo lavori sociali simili ai lavori forzati (ad esempio in agricoltura delle borse lavoro prevedono la preparazione di colline frangivento per centinaia di metri) o estremamente dequalificati come pulizie o sistemazione di rotonde stradali. La giovane democrazie tunisina non ha ancora messo mano al decentramento dello stato, alla sburocratizzazione della vita, alla creazione di programmi di impiego seri.
Nexus lavora in Tunisia assieme al sindacato per promuovere l’Economia Sociale e Solidale ed è da questo osservatorio che possiamo dire che in Tunisia la situazione sociale ed economica è immobile. I progetti di Nexus assistono gruppi di giovani e donne nella creazione di imprese solidali, ma gli ostacoli sono davvero insormontabili. Non esiste una legge che permetta di creare una cooperativa o che ne riconosca il contributo alla società e all’economia. Ancora non siamo stati in grado di ottenere un qualche aiuto pubblico: non la concessione di un terreno per creare un centro culturale a Sousse, non un locale per ospitare un’unità cooperativa di congelamento di frutti di mare a Kherkhenna, e neppure piccoli fondi di investimento sbandierati dal Ministero dell’Agricoltura, che non si capisce a chi e in base a cosa sono concessi.
Personalmente non mi sono sorpresa delle proteste, perché probabilmente molti dei nostri beneficiari sono tra coloro che protestano. Purtroppo protestano da soli, perché nessuno li accompagna ed anzi già sono iniziate i giochi del “sono manipolati dalla sinistra”, del “sono organizzati dal jihadismo”. La protesta è purtroppo in questi giorni un vero sfogo di rabbia: il coprifuoco è stato decretato per contrastare i casseurs che da un paio di notti spaccano e saccheggiano negozi, supermercati e banche delle periferie. La giovane democrazia tunisina non si occupa del proprio futuro. Che sono i giovani. Come la cara vecchia Europa, culla della democrazia non si occupa del proprio futuro e dei suoi giovani. In questo una strana somiglianza tra nuove e mature democrazie rende preoccupante analizzare la salvaguardia degli interessi dei gruppi forti che, trasversalmente dal punto geografico, si fa a discapito degli esclusi e dei giovani. Le classi politiche stanno scommettendo sul cavallo sbagliato, l’ISIS attende nuove braccia. Non è matematico che un disoccupato tunisino si dia al jihaidismo, anzi forse l’antidoto è proprio l’Intifida, ma il programma di impiego del califfato paga meglio, riconosce più competenze e garantisce la sicurezza sociale che ne’ la giovane democrazia tunisina ne’ il suo sistema economico propongono a nessuno.