Skip to main content

Dal 23 settembre a Khartoum e in altre importanti città del Sudan (Wad Medani, El Obeid, Kosti, Nyala, Port Sudan tra le altre) sono in corso massicce proteste di piazza che ricordano quelle avvenute recentemente in altri paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.
I sudanesi manifestano contro le misure economiche di austerità messe in atto dal governo, in particolare contro il rincaro dei prezzi del carburante in un paese che, avendo perso con l’indipendenza del Sud Sudan circa il 75% delle rimesse petrolifere, deve appianare un deficit stimato in 2,4 miliardi di dollari.

La protesta è scoppiata immediatamente dopo un discorso alla nazione del presidente Bashir, e si è ben presto trasformata nella più importante manifestazione di dissenso politico nella storia di un governo andato al potere 24 anni fa con un colpo di stato militare, che ha ripetutamente violato le libertà civili e i diritti umani dei suoi cittadini e il cui Presidente risulta incriminato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità compiuti in Darfur. In diverse località, gruppi di manifestanti, al grido di ”giù il regime, libertà, libertà”, hanno incendiato le sedi del Partito del Congresso Nazionale (NCP), il partito di governo, e diversi distributori di carburante, mentre gruppi di giovani esortavano la piazza a continuare le dimostrazioni in modo pacifico fino alla caduta del regime.

La repressione delle forze di sicurezza non si è fatta attendere e si sta manifestando in modo particolarmente violento. Molti manifestanti sono stati uccisi. Lo confermano ONG locali e organismi di difesa dei diritti umani (Amnesty International, African Centre for Justice and Peace Studies, Human Rights Watch, Sudo UK) che stanno monitorando la situazione: documentano l’identità dei morti e denunciano l’arresto di massa dei dimostranti, per lo più giovani. Le cifre sono ancora incerte. Le più prudenti parlano di 50 morti, altre arrivano a contarne fino a 200, molti uccisi da colpi di arma da fuoco alla testa e nelle schiena, secondo le dichiarazioni di fonti ospedaliere. “I nostri giovani vengono uccisi a gruppi, come cani randagi” è l’accorato racconto di A.K, la direttrice di una Ong sudanese che promuove l’associazionismo giovanile e studentesco. Gli arresti ammessi dal governo sono 600, molti addirittura prima ancora dello scoppio delle dimostrazioni, a scopo preventivo.

Le notizie però filtrano a fatica. In questi giorni 11 giornali sono stati chiusi, internet ha funzionato a singhiozzo, con un blocco ufficiale di 48 ore dalle 12 di ieri, annunciato dai mass media governativi. Sono stati chiusi anche gli studi delle televisioni satellitari mediorientali, Al Arabia e Sky News Arabia. La strategia è chiara: isolare i dimostranti ed evitare testimonianze imparziali delle dimostrazioni e della repressione, manipolando la reale portata delle une e dell’altra attraverso i comunicati ufficiali. Tuttavia le notizie che riescono a passare dicono che la protesta è popolare, supportata da ampi settori della società civile e che sta dilagando.

Analisti politici esperti di cose sudanesi osservano che finora il governo di Khartoum era riuscito a relegare la protesta e la repressione nelle zone periferiche del paese (guerre civili sono attualmente in corso in Darfur, nel Sud Kordofan e nel Blue Nile). Ora la protesta è scoppiata al centro, il bacino di consenso del governo, che aveva goduto finora dei vantaggi economici di uno sviluppo gonfiato dal boom petrolifero e dall’esproprio delle risorse di tutto il paese. Si domandano inoltre che faranno i movimenti di opposizione armata, ora attivi nelle regioni periferiche ma che già nei mesi scorsi si erano affacciati a Um Ruwaba, nel Nord Kordofan, sulla direttrice che porta alla capitale, con un blitz improvviso e fulmineo, dimostrativo di una capacità di colpire anche fuori dal loro santuari tradizionali.

Non è difficile prevedere che potrebbero prepararsi giorni difficili per i Sudanesi. Ci si augura che la comunità internazionale sappia esercitare un’azione positiva, in favore di una soluzione della crisi nel rispetto dei diritti dei cittadini, avendo fatto tesoro degli errori numerosi e clamorosi commessi negli ultimi anni nella regione.

SB