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Era iniziato con la grande manifestazione tra le vie di Tunisi, si è concluso con un lungo corteo dedicato alla Palestina: in mezzo sei giorni di preziose e partecipate attività nel campus universitario.
Le diverse anime della Tunisia di sono ritrovate in questa dodicesima edizione del Forum Mondiale ed è l’ora dei bilanci e delle valutazioni per definire i nuovi appuntamenti ed i nuovi impegni del movimento globale, di quella colorita galassia di società civile che si muove attorno al progetto di “un altro mondo è possibile”.
I numeri del Forum, presentati al Consiglio Internazionale dopo la chiusura del Forum, parlano chiaro: 50.000 presenze registrate, tra 8.000 e 10.000 i volontari mobilitati nel campus universitario, 1.800 giornalisti accreditati, 4.500 organizzazioni iscritte, 1.612 seminari e 30 assemblee “di convergenza” realizzate, il Forum dei parlamentari realizzato con la presenza di 70 parlamentari.

Il costo complessivo del Forum è stato inferiore a tutti i precedenti, grazie alla grande mobilitazione locale ed alla disponibilità dei servizi e della logistica dell’Università Al Manar.
Nessuno alla vigilia avrebbe scommesso su questi risultati, ma la sfida più importante, vinta, è stata quella politica: realizzare un evento mondiale della società civile, a porte aperte, in una delle regioni più conflittuali e problematiche del pianeta, dove lo scontro politico e culturale spesso si trasforma in violenza e repressione.

Tunisi, una scelta azzeccata.
Non è stato un caso se dopo Dakar, nel febbraio 2011, travolti dall’entusiasmo e dall’importanza storica dei processi di cambiamento che iniziarono a demolire i regimi della regione del Maghreb e del Mashrek, si decise di realizzare il successivo Social Forum Mondiale in un paese delle rivoluzioni della dignità.
La realtà si è dimostrata più complessa di quanto immaginato e le rivoluzioni hanno dovuto fare i conti con le resistenze dei poteri forti, militari, economici e religiosi, che andavano minando o ritardando quel cambiamento che i giovani, le donne, i poveri e gli esclusi avevano intravisto occupando le piazze ed i luoghi del potere.
L’impossibilità a realizzare il Forum in Egitto (per l’assenza di condizioni politiche e sociali), anche la scelta della Tunisia -con gli attacchi di gruppi salafisti al sindacato e a diverse organizzazioni umanitarie tunisine, con l’omicidio del leader politico Chokri Belaid- sembrava essere un azzardo vero e proprio.
Invece si è ricomposto un clima sociale di apertura, di dialogo e di confronto, riuscendo ad ospitare l’invasione dei movimenti sociali, dei nuovi movimenti, dei sindacati, del popolo altermondista come meglio non si poteva fare.
I commenti di coloro che non si sono persi un appuntamento da Seattle a Tunisi, è stato univoco, di sorpresa e di soddisfazione: “Tunisi ha riscoperto lo spirito originale del Forum Sociale, questo forum ha dato una iniezione di speranza ai tunisini ed a chi sostiene le lotte sociali”.

Tanti volontari, spazi aperti.
Kamal Lahbib, marocchino, uno dei leader del Forum, ha pubblicamente reso atto, ringraziando, il governo tunisino per l’appoggio avuto e per la completa indipendenza ed autonomia in cui si è potuto realizzare il Forum, senza ingerenza alcuna da parte delle istituzioni locali.
Un risultato per niente scontato, visto il clima di scontro politico in corso in Tunisia, tra forze democratiche, progressiste e laiche, e le forze religiose, islamiste ed integraliste, contrapposizione che ha generato un intenso dibattito sulla partecipazione o meno al Forum degli islamisti e sulla possibilità o meno di seminari sui temi religiosi.
Dibattito conclusosi nel migliore dei modi, aprendo lo spazio del confronto e del dibattito a tutti coloro che si riconoscono ed accettano la Carta di Porto Alegre, basata sui principi di libertà di espressione e di confronto pacifico, senza discriminazione di cultura, sesso, religione.
Non sono mancati piccoli incidenti che però non hanno guastato il clima di festa e di incontro tra culture. Invece, purtroppo, deve essere menzionato il comportamento provocatorio del governo marocchino che sistematicamente organizza la presenza di delegazioni di militanti nazionalisti marocchini che non hanno nulla a che vedere con i rappresentanti delle organizzazioni e dei sindacati marocchini che fanno parte del Forum Sociale del Maghreb.
Questi militanti nazionalisti sono istruiti e pagati per boicottare gli incontri e le assemblee dove si affronta il tema del Maghreb e del Sahara Occidentale, minacciando, insultando e muovendosi come veri e propri squadre di picchiatori. Anche in questo Forum si è assistito a questi incresciosi atti di violenza verbale e fisica contro attivisti marocchini e rappresentanti saharawi.
Episodi inaccettabili perché il rifiuto del dialogo e del confronto pacifico, con l’imposizione della violenza e dello squadrismo, è la peggiore difesa alle proprie ragioni.
Limiti e potenzialità del Forum, questo è il tema di sempre e che anche oggi è oggetto della discussione. Alla domanda, se il Forum è utile o inutile, le risposte sono unanimemente concordi: è uno spazio utile, da difendere, spazio libero ed autogestito dalla società civile.

Come proseguire?
Il dibattito e le diversità di vedute sono quindi spostate sul suo funzionamento e sulla sua efficacia, sugli obiettivi concreti.
Di questo si è discusso sia nel Forum che nei due giorni successivi al Forum, nell’ambito della riunione del Comitato Internazionale del Forum, il parlamentino del Forum, composto da oltre cento organizzazioni della società civile, compresi i sindacati, che dopo dodici anni di vita è alla ricerca di un nuovo orizzonte strategico.
Paradossalmente, l’apertura, la ricerca di inclusione e di spazi di autogestione che hanno caratterizzato la vita dei Forum, dal 2001 ad oggi, è alla base della critica e dei limiti che alcuni, tra questi i sindacati, attribuiscono al Forum. Un processo che non produce sintesi e piattaforme d’azione condivise: l’esempio è nelle trenta “Assemblee di convergenza” previste e realizzate, ognuna delle quali ha prodotto una riflessione ed una sintesi, ma senza il successivo passaggio ad una messa in comune di queste riflessioni e sintesi, con la quasi certezza che il lavoro fatto rimarrà documentazione d’archivio e non piattaforma d’azione globale.
Come usare la ricchezza dei dibattiti, l’opportunità di avere riuniti rappresentanti di organizzazioni di donne, indigeni, contadini, sindacati, attivisti dei diritti umani, difensori dei beni comuni, politici ed intellettuali, di ogni parte del mondo?
Come aumentare la presenza della società civile organizzata nelle istituzioni e nelle scelte che determinano il futuro della nostra società e sul futuro del pianeta ?
Mentre per i promotori del forum di porto Alegre l’obiettivo era la creazione di uno spazio aperto e l’utopia altermondista, oggi sono quegli stessi protagonisti a richiedere il cambiamento dello spazio e del processo dei forum sociali, difendendo lo spazio ma ri-orientando il processo in una maggiore e più chiara dimensione politica.
Come si può ben immaginare il dibattito sul come e con chi è ampio e non privo di frizioni interne al movimento.

Il sindacato, i diritti del lavoro, l’impegno che continua.
Il sindacato è stato uno dei protagonisti delle giornate tunisine. Tanti gli incontri, i dibattiti, i seminari che hanno visto una buona presenza di ospiti, di lavoratori, di studenti, di giovani.
La nostra organizzazione ha promosso proprie iniziative ed ha partecipato a parecchie promosse da altre organizzazioni e reti.
Per il sindacato vi è l’esigenza di dialogo con i movimenti sociali e un più chiaro collegamento tra le lotte sociali e di cittadinanza con le lotte sindacali, nel rispetto delle rispettive funzioni e responsabilità di rappresentanza, ma unificando piattaforme e rivendicazioni.
Per i movimenti sociali, soprattutto quelli dell’emisfero sud, vi è l’esigenza di rimettere in discussione il modello di sviluppo produttivista e consumista, ripensando il rapporto tra società e ambiente, per un diverso equilibrio tra le dimensioni dell’avere e dell’essere, il cui riferimento sono modelli di vita diversi dalla cultura occidentale dominante.
L’obiettivo riaffermato a Tunisi è che la sintesi tra le tante diverse esperienze e modelli di società è possibile con il dialogo, il rispetto ed il confronto tra le diverse componenti della società civile del pianeta.
L’errore è pensare di avere in tasca la soluzione e chiudersi nel proprio ridotto campo d’azione, pensando che i problemi globali e la complessità della nostra epoca si possano risolvere con le nostre certezze e con le chiavi di lettura di altre epoche.
I sindacati presenti a Tunisi sembrano aver accettato la sfida proponendo la creazione di un forum tematico sindacale mondiale, per contaminarsi e per rendere la dimensione del lavoro e dei diritti lavoro, protagonista della costruzione di una piattaforma globale di società civile organizzata.
Su questo terreno continueremo il nostro impegno di sindacato europeo e globale.

Sergio Bassoli – Antonio Morandi